e le cascine dall'alto scoprono tetti crollati
coppi franti, stanze abbandonate e intrise
di piogge e sofferenze e tempo.
I paesaggi e le cose, le case che crollano, i coppi, la pioggia che consuma, battendo il tempo sulle pietre… questa ultima raccolta del “poeta contadino” Sandro Buoro è piena di cose che soffrono. Un’atmosfera elegiaca la pervade, virgiliana. Vediamo e ascoltiamo le lacrimae rerum, le strida mute degli oggetti che lo specchio accomuna ai viventi nel loro “correre alla morte”.
È poesia antica, imbevuta di classici, ma soprattutto classica nel modo. Nel modo di osservare il mondo e la vita. Ed è il modo/mondo dei campi arati, dei filari dei pioppi, dei canneti indizio dell’acqua. Il fiume che porta via tutto ha il colore della terra, il tempo smotta, le colline s’appianano, i tetti rovinano, gli amici più non s’incontrano, le biciclette sono rare al tramonto. Un dolente “tempus fugit” risuona in questi versi. Ma c’è… il vento, lo scirocco che viene dal mare e che porta nubi chiare, e profumi che “leniscono il cuore”:
Altre volte la voce del vento
tra rami di tiglio o di selvatica acacia
sveglia i miei sensi e mai sopiti ricordi di eucalipti
quando ero bambino altrove e ritorna
l'aspro sapore aromatico della foglia
masticata tra i denti
E insieme al vento i ricordi dei giorni felici, dei nomi amati, dei volti lontani ma non assenti, vicini al pensieroso solitario, che addolcisce i suoi versi, modulando bisillabi armonizzati: Altre volte la voce del vento; che reinventa un linguaggio epico omerizzante, diffidente di articoli. E c’è colei “che rientra da notti lunari”, e c’è una non nominata del tutto presente, e c’è Marta che torna, e c’è… il “fiore d’innocenza”, il corpo piccino e tenero, fragile ma possente di tutto il futuro possibile: “Alma dagli occhi profondi”.
coppi franti, stanze abbandonate e intrise
di piogge e sofferenze e tempo.
I paesaggi e le cose, le case che crollano, i coppi, la pioggia che consuma, battendo il tempo sulle pietre… questa ultima raccolta del “poeta contadino” Sandro Buoro è piena di cose che soffrono. Un’atmosfera elegiaca la pervade, virgiliana. Vediamo e ascoltiamo le lacrimae rerum, le strida mute degli oggetti che lo specchio accomuna ai viventi nel loro “correre alla morte”.
È poesia antica, imbevuta di classici, ma soprattutto classica nel modo. Nel modo di osservare il mondo e la vita. Ed è il modo/mondo dei campi arati, dei filari dei pioppi, dei canneti indizio dell’acqua. Il fiume che porta via tutto ha il colore della terra, il tempo smotta, le colline s’appianano, i tetti rovinano, gli amici più non s’incontrano, le biciclette sono rare al tramonto. Un dolente “tempus fugit” risuona in questi versi. Ma c’è… il vento, lo scirocco che viene dal mare e che porta nubi chiare, e profumi che “leniscono il cuore”:
Altre volte la voce del vento
tra rami di tiglio o di selvatica acacia
sveglia i miei sensi e mai sopiti ricordi di eucalipti
quando ero bambino altrove e ritorna
l'aspro sapore aromatico della foglia
masticata tra i denti
E insieme al vento i ricordi dei giorni felici, dei nomi amati, dei volti lontani ma non assenti, vicini al pensieroso solitario, che addolcisce i suoi versi, modulando bisillabi armonizzati: Altre volte la voce del vento; che reinventa un linguaggio epico omerizzante, diffidente di articoli. E c’è colei “che rientra da notti lunari”, e c’è una non nominata del tutto presente, e c’è Marta che torna, e c’è… il “fiore d’innocenza”, il corpo piccino e tenero, fragile ma possente di tutto il futuro possibile: “Alma dagli occhi profondi”.
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