«Lei, essa poesia, ha ritmica, ha melodia, timbro. Musica è. Tutti i poteri della musica. Tutti li ha».
«Ogni poesia implora un respiro che la dica».
Dire la poesia non avviene sempre. Eppure
anche nel dire la poesia consiste, da sempre, la poesia. Lo sapeva
Carmelo Bene con il suo personalissimo teatro della crudeltà, lo
sapevano i Romantici e i Surrealisti, lo sapeva García Lorca, quando
trovava il suo duende nella musica, nella danza e, appunto, nella poesia
a viva voce (hablada), arti tutt'e tre, sosteneva, che hanno bisogno di
un corpo vivo che le interpreti. Lo sa bene, benissimo, Mariangela
Gualtieri, che da quarant'anni «dice la poesia in pubblico», avvolgendo
chi la ascolta in un «mondo orale aurale» che non ha uguali. Sí perché
«spesso», come dice Gualtieri, i professionisti, gli attori, leggono il
verso puntando «sulla sua componente razionale e di significato,
trascurando tutto il resto». Nella sua «arte di dire la poesia»,
Gualtieri ci parla invece solo del resto. E per farlo trova un
linguaggio nuovo e sorprendente: non un discorso sul dire la poesia ma
una scrittura con il dire la poesia.