Concepito nel 2003, per celebrare il 
decimo anniversario della morte di Antonio Verri, l’opuscolo di Ennio 
Bonea, “Antonio Verri, l’uomo-rivista”, vide la luce nella mia collana 
“I quaderni del Brogliaccio”, al n. 2 – Marzo 2004. Ignoro se Bonea 
(nella foto) avesse tentato prima di pubblicarlo altrove, senza riuscirvi. Lo propose
 a me ed io glielo pubblicai. Il titolo fu suo, peraltro ripreso da Toni
 Maraini (sorella di Dacia), che così aveva definito Verri.
Ho letto delle cose di Verri e su Verri post eius mortem, ma mai 
mi è capitato d’imbattermi in una citazione di quell’opuscolo. Dal che 
ho dedotto che quel lavoro non piacque agli amici e agli estimatori di 
Verri.
Le ragioni probabilmente si perdono nel groviglio di rapporti obliqui 
nel mondo degli intellettuali salentini. Bonea aveva i suoi amici e i 
suoi devoti, ma aveva anche i suoi detrattori. Come tutti, del resto. 
Antipatie e simpatie riemersero, ancora una volta, qualche anno fa nel 
corso di una celebrazione alla Biblioteca Caracciolo a Lecce da parte di
 Carlo Alberto Augieri, quando Valli rivendicò la superiorità della 
scuola filologica di Marti contrapponendola a quella dalla quale era 
disceso Bonea. Augieri e Giancarlo Vallone ne presero le difese.
Personalmente ho conosciuto Antonio Verri una sera di non ricordo bene 
né giorno né mese del 1985 a Galatone, dove, promotore Vittorio 
Zacchino, fu presentato il libro di Verri “Il fabbricante di armonia, 
Antonio Galateo”. Prima non ci si era mai incontrati, ma lui diede ad 
intendere che mi conosceva, chiamandomi per nome, e mi salutò con tanto 
calore e tanta cordialità da farmelo percepire come una gran bella 
affabile persona.
Ma torniamo al Verri di Bonea. Sono 
trascorsi ormai quasi dieci anni da quell’opuscolo, venti dalla morte di
 Verri, maggio 1993. L’ho ripreso in mano e me lo sono riletto. I 
contenuti – una sorta di regesto delle sei riviste fondate da Verri – 
sono preceduti da un prologo, in cui Bonea parla dell’irregolarità del 
personaggio, che lui aveva avuto allievo all’Università di Lecce.
«Chi scrive – ricorda Bonea – lo ha avuto studente universitario ed ha, 
forse, la responsabilità di avergli fatto abbandonare l’università e a 
partire emigrante in Svizzera. Aveva una particolare concezione della 
letteratura, che nulla aveva di organico. All’esame che egli sostenne di
 Storia della letteratura moderna e contemporanea, ignorava del tutto il
 programma svolto per le lezioni.[…]. Non si laureò mai».
Da docente, quale sono stato per quarant’anni, non posso non essere 
d’accordo con Bonea. La scuola è fatta di programmi, di contenuti da 
studiare e dimostrare di conoscere, di prove scritte e orali, un 
universo di regole, di scadenze ineludibili e indifferibili. Chi, per 
sua natura, è fuori da quell’ordine a scuola vive le pene dell’inferno. 
Verri, ad un certo punto, volle farla finita; lasciò l’Università e se 
ne andò a conoscere il mondo in ogni altra sua dimensione che non fosse 
quella degli odiati piani scolastici. Finì in Svizzera, a lavorare come 
tanti altri emigranti salentini.
Una più o meno simile esperienza la 
visse Salvatore Toma al Liceo “Capece” di Maglie, dove il prof. Claudio 
Micolano – severo professore di Italiano, Latino e Greco – non poteva 
tollerare nella scrittura dei temi la forma scorretta dello 
studente-poeta. Si dice: ma perché la scuola non comprende simili 
soggetti? Per la natura stessa della scuola, che è fatta – come si 
diceva – di regole. Gli sregolati o irregolari, che dir si voglia, per 
quanto geniali, sono incompatibili.
Bonea, pur avendo per la poesia e la narrativa postmoderna, in cui Verri
 scrittore sarebbe stato inserito dai critici, nella sua funzione di 
docente non poteva non valutare Verri se non per le conoscenze di un 
programma.
Forse Bonea, parlandone qualche anno dopo per ben altra ragione, sarebbe potuto entrare subito in medias res
 senza sottolineare la di lui pregressa esperienza negativa. Anche 
perché sul Verri fondatore e direttore di riviste c’era già tanto da 
dire.
Il fatto va visto e spiegato in un contesto diverso. Verri – ma non è il
 solo nel panorama salentino e meridionale – ha espresso con le sue 
esperienze editoriali e i suoi scritti, a prescindere dal valore – un 
aspetto di tipo classista degli intellettuali-scrittori. Egli aggiunse 
alle dialettiche antinomie poveri-ricchi e proletari-borghesi, quella di
 intellettuali privi di mezzi e intellettuali con abbondanza di mezzi, 
rivendicando la partecipazione dei primi per rompere un dominio di 
“classe”, altrimenti appannaggio esclusivo dei secondi.
Calzante o meno questo schema, di chiara derivazione marxista, sta di 
fatto che è riscontrabile in gran parte del Salento e forse di tutto il 
Meridione a partire, in crescendo, dalla metà del Novecento. Si tratta 
di un fenomeno diffuso da analizzare con gli strumenti propri della 
sociologia politica. E’ un aspetto importante della trasformazione 
antropologica che ha caratterizzato e travagliato l’esistenza per secoli
 delle classi povere, che con la crescente alfabetizzazione sono passate
 dalle forme orali a quelle scritte della loro comunicazione, fino alle 
opere letterarie vere e proprie.  Non c’è paese del Salento in cui non 
esista un Salvatore Toma o un Antonio Verri, forse non sempre alla 
stessa altezza, ma sempre con lo stesso intento di imporsi in un mondo 
dal quale spesso si viene esclusi o respinti. La grammatica, la 
sintassi, la consecutio, i contenuti regolari, a cui la scuola, 
ovvero la “classe dominante”, si appella per giustificare l’esclusione, 
sono per questi poeti e scrittori le barriere architettoniche che 
impediscono l’accesso ad un portatore di handicap. Ma essi, le barriere 
formali dell’espressione, le possono violare e le violano. Il diritto di
 esprimersi e di far sapere agli altri i loro pensieri, le loro idee, le
 loro forme di comunicazione ha il sopravvento su tutto.
Perché io che non ho i mezzi non devo esprimermi, farmi conoscere e 
magari valgo anche più di te che hai i mezzi e tutto quello che serve 
per avere il successo? Ecco la domanda che i vari Verri si pongono. E 
Antonio Verri organizzava riviste per creare spazi e metterli a 
disposizione di quanti volessero esprimersi, a prescindere dalle regole e
 qualche volta perfino a loro dispetto.
Probabilmente Bonea, scegliendo il Verri “uomo-rivista”, volle ribadire 
la bocciatura dell’ ”uomo-scrittore”. E questo agli amici di Antonio non
 è mai andato giù.
da Spagine - Periodico del Fondo Verri
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